Non occorre una laurea in psicologia online presa all’Unicusano, né un titolo acquisito in un’università più tradizionale per supporre che il coronavirus ha avuto un impatto molto forte sul benessere mentale delle persone.

Non si tratta solo della paura di ammalarsi o di essere contagiati e contagiosi; vivere la quarantena non è stato semplice. È vero, non ci hanno chiesto di andare in guerra, ma abbiamo comunque dovuto fare i conti con la privazione di alcune delle nostre libertà fondamentali. Cambiare la routine, adattarsi a nuovi ritmi, perdere le fonti di svago e doversene ricreare delle altre in casa… sono sfide che alcuni possono trovare allettanti, altri meno. Senza contare che il tempo passato in casa, per molti, è servito a gettare una luce nuova su alcune situazioni; in altri casi, invece, è sembrato un tempo di fermo, di pausa, di immobilità. La precarietà e la lontananza dagli affetti che hanno caratterizzato le nostre vite durante i mesi di marzo, aprile e marzo non possono non avere delle conseguenze dal punto di vista psicologico.

Uno studio portato avanti dall’Istituto Piepoli, commissionato dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi e svolto durante le fasi più acute della pandemia, ha evidenziato come ben il 63% degli italiani soffrisse di stress mostrando sintomi come mal di testa, mal di stomaco, insonnia, ansia, panico e depressione.

La life coach Alessandra Lancellotti lo ha spiegato in maniera cristallina:

Manca l’idea del futuro e noi, che eravamo abituati a proiettarci nel futuro, ci vediamo improvvisamente bloccati. La società da liquida è divenuta pietrificata non si guarda avanti. Le persone non sanno cosa fare di se stesse”.

Anche le tante teorie cospirative o l’accanimento nei confronti di determinate persone (chi cantava sui balconi, ad esempio) è sintomo di un malessere interiore che deve trovare il modo di sfogarsi.

Se questo accadeva durante il lockdown, cosa possiamo aspettarci da questa fase 2? È davvero tornato tutto alla normalità? In realtà, gli psicologi non escludono la possibilità che si presentino disturbi tipici del post-trauma. Se guardiamo a cosa è successo quando Australia e Taiwan hanno sperimentato la quarantena a causa della Sars, i dati ci dicono che, dopo tre anni dall’accaduto, il 10% dei soggetti aveva sviluppato una depressione acuta a causa dell’isolamento non elaborato.

Non è improbabile che alcuni di noi continueranno a sperimentare sentimenti di depressione, deficit attentivi e di memoria. In alcuni casi più gravi, ci potrebbero essere anche pensieri paranoici. Ci potrebbero essere emozioni come rabbia, paura e una forte confusione che di certo noi aiutano a vivere in maniera rilassata. Un’altra conseguenza potrebbe essere la paura della vicinanza sociale anche una volta finita la quarantena.

È vero che, fino ad ora, ci sembra di cogliere un atteggiamento sempre più leggero e incurante delle regole da parte della maggior parte delle persone. Il virus sembra un ricordo lontano e le persone ora invocano assembramenti. Ma non è forse anche questa una reazione a un trauma? Cercare di eliminarne ogni traccia e fare come se nulla fosse successo?

Le conseguenze psicologiche della pandemia ci sono. Anche chi non le percepisce, le sta vivendo. La cosa che possiamo fare è tentare di essere attenti alle nostre emozioni e comprensivi con noi stessi. E per chi avesse bisogno, c’è sempre la possibilità di un consulto psicologico.

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